VERSO IL NORD (1948)
Cari lettori, eccovi (sebbene con un giorno di ritardo sulla consueta scaletta), il terzo episodio, del duplice romanzo di Lina Pino. Buona lettura!
(Nella foto, la città di Pretoria in Sud'Africa).
.
(Nella foto, la città di Pretoria in Sud'Africa).
.
Vento, pioggia, nebbia, neve….Milano!! una Milano che tutti i giorni vedeva arrivare dal sud fiumi di emigranti. Gente con vestiti rattoppati, scarpe rotte e borse piene di panni lisi e qualche caciotta o piccolo salame. Una pagnottela di pane fatto in casa che moglie o madri avevano amorosamente dato ai loro cari prima di partire. Ogni treno che arrivava sotto la cupola enorme della stazione centrale, eruttava; giovani, anziani, madri con bambini e famiglie intere. Cosa pensava di trovare questa povera gente venuta dal sud che la guerra aveva duramente provato? Un po’ di lavoro per sfamare le famiglie, un avvenire migliore a costo di molti sacrifici.
Come al solito, mio padre, appena ricevette notizie da parenti che già si trovavano a Milano; che lì c’erano possibilità di lavoro, partì subito verso questa nuova meta. Era un bravissimo muratore, ma lì, trovò soltanto da riparare i forni di un acciaeria. Trovò alloggio presso una famiglia siciliana e dopo pochi mesi chiese a mia madre di ragiungerlo. Io avevo appena finito la prima elementare con ottimi voti. Ero una bambina allegra e spensierata. Trovavo la scuola un piacere (essendo anche molto curiosa) volevo sempre, saperne di più su tutto. Sapevo tutte le tabelline, scrivevo qualche temino e recitavo molte poesie. Forse un po’ chiaccherona, ma come molti bambini di quell’età, la mia vita si divideva fra scuola, giochi e visite ai parenti. Quando potevo passavo il mio tempo sulla spiaggia a guardare il mare, le onde e la Calabria che si trova proprio di fronte al mio paese oltre lo Stretto di Messina.
Fui sradicata da questa mia realta, e portata in una metropoli sconosciuta. Era l’inizio della vacanze scolastiche, faceva caldo e dietro il quartiere dove avevamo trovato alloggio, c’era un “grest” che io frequentavo, gestito da suore. Queste stavano aspettando che si finissero di costruire un nuovo l’edificio scolastico entro l’inizio di Settembre cosi che i bambini del grest avrebbero potuto frequentare quella nuova scuola L’idea mi allettava perchè avrei potuto approfondire le amicizie che avevo iniziato al grest, con quei bambini, quasi tutti figli di immigrati del Sud. La mamma trovò un lavoro in una notissima sartoria e data la sua qualifica di sarta, le avevano assegnato il compito di parlare con le clienti, misurare e tagliare i vestiti. Papà lavorava nell’acciaeria e io andavo al grest al mattino. Nel pomeriggio avevo il compito di fare la spesa e tenere la nostra cameretta in ordine.
Quei tre mesi passarono felicemente. Avevo fatto amicizia con tutti i ragazzini del quartiere e giocavo con loro tutti i giorni. Ma con la fine di Agosto, tutto cambiò.
Papa’, nel suo tempo libero aveva costruito degli uffici per una ditta di articoli funerari e il proprietario gli aveva offerto due stanze che momentaniamente a loro non servivovano in cui potevamo trasferrci. Questa nuova dimora si trovavana vicino al posto di lavoro di mio padre e proprio di fronte al cimitero monumentale di Milano.
La mia prima impressione nel vedere tutte quelle lapidi sparse dappertutto e pezzi di marmo che dovevano ancora essere tagliati, fu di paura. Ma anche quì feci amicizia con il nipotino della vicina e giocando con lui mi dimenticavo di tutta quella tristezza che il luogo incuteva.
Settembre arrivò in un attimo con le sue giornate piovose e tetre e con esse anche il Nuovo anno scolastico. Non avevo problemi con la scuola e pensai che questa sarebbe stata per me una passeggiata. Macche! La seconda classe era molto più difficile di quanto non potessi immaginare e mi trovai subito disorientata. Non capivo molto di quello che spiegavano e non mi venne mai spiegato ciò che non riuscivo a capire. Si frequentava a tempo pieno ed io che già mangiavo poco, con il solito pranzo a base di zuppa di fagioli con olio di fegato di merluzzo, mangiavo ancora meno. Oggi so che quella dieta era per dare ai bambini vitamine e proteine che aiutano nello studio, ma allora io sentivo soltanto quell’olio e rifiutavo il cibo. Questo era causa di punizioni che mi proibivano di fare la ricreazione fino a quando non avessi finito il pranzo. Mi lasciavano nel refettorio, sola, fino alla fine della ricreazione. Le ingiustizie, (secondo me) continuavano perchè quando suonava la campana per l’intervallo del pranzo, io, sentendomi carcerata, davo un sospiro di sollievo e qualche commento liberatorio. Ecco la suora, sempre pronta, trovava la scusa per punirmi ancora e mi metteva dietro la lavagna scordandosi di me. Rimanevo li fino al rientro della classe. Questa aula piccola, buia e triste, dove non si poteva fiatare, dove non potevo chiedere spiegazioni per le cose che non capivo e stato il posto in cui mi sono sentita abbandonata e sola.
Provai a spiegare a mia madre ciò che mi succedeva, e lei ando a parlare con l’insegnanete. Questa gli disse che io ero indiettro rispetto alle altre bambine e che disturbavo molto. Quella volta, mia madre chiese ad una compagna di classe dove si trovasse l’insegnate. Mia madre parlava con un forte accento siciliano e da quel giorno cominciarono chiamarmi “Terrona” e nessuno volle piu’ giocare con me.
Quasi tutte le sere mio padre veniva tardi a prendermi, dato che, finito il lavoro, doveva aspettare il tram. Una di quelle sere, non avendo pranzato, seduta in portineria con la suora “calzolaia”, vidi delle piccole caramelle di liquirizia in uno degli scomparti del tavolinetto dove si tenevano i chiodini per riparare le scarpe. La suora si assentò per poco ed io presi una liquirizia e la misi in bocca. Arrivo’ mio padre con un grande ombrello, mi prese in braccio e ci avviammo verso casa. Mentre ero nelle sue braccia gli dissi che avevo rubato una caramella. Lui con molto garbo e calma di rispose: “La vita è dura ma non si prende niente di ciò che non ci appartiene. Quando vuoi qualche cosa lo devi chiedere e se non te la danno, forse significa che non possono darti nulla.” Queste parole di mio padre, mi sono servite da lezione per tutta la vita. Sono orgogliosa di averne fatto tesoro.
Non mangiavo piu’! Appena tornata dalla scuola, per non farmi vedere dai miei, mi chiudevo nella camera da letto e piangevo. Mi mancava la Sicilia, il mio paese, la mia gente, mio fratello e tutta la famiglia. Finalmente si resero conto della mia grande
infelicità e dato che nel frattempo era stata accettata la domanda di mio padre per partire per il Sud Africa, mia madre decise di tornare in Sicilia per richiedere la documentazione che serviva per il grande passo. Con grandissimo sollievo tornavo al mio paese.
Quando mia madre tornò a Milano, porto, con se mio fratello che ancora era piccolo e non andava a scuola ed io restai con nonni, zie, zii, cugini e il calore delle persone care. Il mio paese era, ed è ancora, un posto di gente semplice che ti ama come sei e ti fa sentire importante anche se sei una bambina.
Rimasi lì fino al giorno della partenza per il Sud Africa, frequentai la scuola sempre con ottimo voti, ma soprattutto “FELICE”.
-
Come al solito, mio padre, appena ricevette notizie da parenti che già si trovavano a Milano; che lì c’erano possibilità di lavoro, partì subito verso questa nuova meta. Era un bravissimo muratore, ma lì, trovò soltanto da riparare i forni di un acciaeria. Trovò alloggio presso una famiglia siciliana e dopo pochi mesi chiese a mia madre di ragiungerlo. Io avevo appena finito la prima elementare con ottimi voti. Ero una bambina allegra e spensierata. Trovavo la scuola un piacere (essendo anche molto curiosa) volevo sempre, saperne di più su tutto. Sapevo tutte le tabelline, scrivevo qualche temino e recitavo molte poesie. Forse un po’ chiaccherona, ma come molti bambini di quell’età, la mia vita si divideva fra scuola, giochi e visite ai parenti. Quando potevo passavo il mio tempo sulla spiaggia a guardare il mare, le onde e la Calabria che si trova proprio di fronte al mio paese oltre lo Stretto di Messina.
Fui sradicata da questa mia realta, e portata in una metropoli sconosciuta. Era l’inizio della vacanze scolastiche, faceva caldo e dietro il quartiere dove avevamo trovato alloggio, c’era un “grest” che io frequentavo, gestito da suore. Queste stavano aspettando che si finissero di costruire un nuovo l’edificio scolastico entro l’inizio di Settembre cosi che i bambini del grest avrebbero potuto frequentare quella nuova scuola L’idea mi allettava perchè avrei potuto approfondire le amicizie che avevo iniziato al grest, con quei bambini, quasi tutti figli di immigrati del Sud. La mamma trovò un lavoro in una notissima sartoria e data la sua qualifica di sarta, le avevano assegnato il compito di parlare con le clienti, misurare e tagliare i vestiti. Papà lavorava nell’acciaeria e io andavo al grest al mattino. Nel pomeriggio avevo il compito di fare la spesa e tenere la nostra cameretta in ordine.
Quei tre mesi passarono felicemente. Avevo fatto amicizia con tutti i ragazzini del quartiere e giocavo con loro tutti i giorni. Ma con la fine di Agosto, tutto cambiò.
Papa’, nel suo tempo libero aveva costruito degli uffici per una ditta di articoli funerari e il proprietario gli aveva offerto due stanze che momentaniamente a loro non servivovano in cui potevamo trasferrci. Questa nuova dimora si trovavana vicino al posto di lavoro di mio padre e proprio di fronte al cimitero monumentale di Milano.
La mia prima impressione nel vedere tutte quelle lapidi sparse dappertutto e pezzi di marmo che dovevano ancora essere tagliati, fu di paura. Ma anche quì feci amicizia con il nipotino della vicina e giocando con lui mi dimenticavo di tutta quella tristezza che il luogo incuteva.
Settembre arrivò in un attimo con le sue giornate piovose e tetre e con esse anche il Nuovo anno scolastico. Non avevo problemi con la scuola e pensai che questa sarebbe stata per me una passeggiata. Macche! La seconda classe era molto più difficile di quanto non potessi immaginare e mi trovai subito disorientata. Non capivo molto di quello che spiegavano e non mi venne mai spiegato ciò che non riuscivo a capire. Si frequentava a tempo pieno ed io che già mangiavo poco, con il solito pranzo a base di zuppa di fagioli con olio di fegato di merluzzo, mangiavo ancora meno. Oggi so che quella dieta era per dare ai bambini vitamine e proteine che aiutano nello studio, ma allora io sentivo soltanto quell’olio e rifiutavo il cibo. Questo era causa di punizioni che mi proibivano di fare la ricreazione fino a quando non avessi finito il pranzo. Mi lasciavano nel refettorio, sola, fino alla fine della ricreazione. Le ingiustizie, (secondo me) continuavano perchè quando suonava la campana per l’intervallo del pranzo, io, sentendomi carcerata, davo un sospiro di sollievo e qualche commento liberatorio. Ecco la suora, sempre pronta, trovava la scusa per punirmi ancora e mi metteva dietro la lavagna scordandosi di me. Rimanevo li fino al rientro della classe. Questa aula piccola, buia e triste, dove non si poteva fiatare, dove non potevo chiedere spiegazioni per le cose che non capivo e stato il posto in cui mi sono sentita abbandonata e sola.
Provai a spiegare a mia madre ciò che mi succedeva, e lei ando a parlare con l’insegnanete. Questa gli disse che io ero indiettro rispetto alle altre bambine e che disturbavo molto. Quella volta, mia madre chiese ad una compagna di classe dove si trovasse l’insegnate. Mia madre parlava con un forte accento siciliano e da quel giorno cominciarono chiamarmi “Terrona” e nessuno volle piu’ giocare con me.
Quasi tutte le sere mio padre veniva tardi a prendermi, dato che, finito il lavoro, doveva aspettare il tram. Una di quelle sere, non avendo pranzato, seduta in portineria con la suora “calzolaia”, vidi delle piccole caramelle di liquirizia in uno degli scomparti del tavolinetto dove si tenevano i chiodini per riparare le scarpe. La suora si assentò per poco ed io presi una liquirizia e la misi in bocca. Arrivo’ mio padre con un grande ombrello, mi prese in braccio e ci avviammo verso casa. Mentre ero nelle sue braccia gli dissi che avevo rubato una caramella. Lui con molto garbo e calma di rispose: “La vita è dura ma non si prende niente di ciò che non ci appartiene. Quando vuoi qualche cosa lo devi chiedere e se non te la danno, forse significa che non possono darti nulla.” Queste parole di mio padre, mi sono servite da lezione per tutta la vita. Sono orgogliosa di averne fatto tesoro.
Non mangiavo piu’! Appena tornata dalla scuola, per non farmi vedere dai miei, mi chiudevo nella camera da letto e piangevo. Mi mancava la Sicilia, il mio paese, la mia gente, mio fratello e tutta la famiglia. Finalmente si resero conto della mia grande
infelicità e dato che nel frattempo era stata accettata la domanda di mio padre per partire per il Sud Africa, mia madre decise di tornare in Sicilia per richiedere la documentazione che serviva per il grande passo. Con grandissimo sollievo tornavo al mio paese.
Quando mia madre tornò a Milano, porto, con se mio fratello che ancora era piccolo e non andava a scuola ed io restai con nonni, zie, zii, cugini e il calore delle persone care. Il mio paese era, ed è ancora, un posto di gente semplice che ti ama come sei e ti fa sentire importante anche se sei una bambina.
Rimasi lì fino al giorno della partenza per il Sud Africa, frequentai la scuola sempre con ottimo voti, ma soprattutto “FELICE”.
-
NORTH BOUND 1949
Wind, rain, fog, snow….Milan!! Post war Milan that was daily becoming inundated by hundreds of emigrants arriving from the south. People wearing broken and patched shoes and, threadbare clothing. In their bags a piece of cheese a little salami and a loaf of homemade bread which wives or mothers had lovingly baked before their departure.
Every train that arrived under the high canopy of the Central Station pored out: young, old, mothers with babies and whole families. What did these people think they would find here? A job that would give them enough money to feed their families? Hopefully a better future at the cost of innumerable sacrifices.
As soon as my father heard from some relatives that there might be work for him in Milan, being the usual adventurer, set off immediately for this new destination. He was a qualified mason, but there only found work repairing ovens in a steel-plant. It was work and enough money to feed the family. He rented a room from a Sicilian family that had been there for a while and after a few months asked my mother to join him.
I had just finished the first grade at school with excellent grades. I loved school and already knew all my tables could write simple essays and recite innumerable poems. I was a happy and carefree child and having always been very curious, wanted to know everything about anything that crossed my path. Maybe a bit chatty, but like most children of that age, my life evolved around school, play and visiting the extended family. Whenever I could, I would walk down to the beach to look at the sea, the waves and Reggio Calabbria that is on the opposite shore across the Strait of Messina.
Without much ado, I was eradicated form this reality and taken to an unknown metropolis.
It was the beginning of the school holidays, Milan was hot and humid. Near the apartments where we lived was a holiday center run by nuns, for children whose parents worked. These nuns where waiting for a new school building to be completed before the new school year so that all the children living in that area cold have a school and not have travel by tram to the nearest one which was quite a distance away. I couldn’t wait for this and was very excited thinking that I would be able to continue frequenting my new friends, mostly children of families from the south.
My mother had found a good position as a dress stylist in a top atelier as she was fully qualified and held a diploma. She saw many rich lady clients and helped them choose their clothes. She also cut and tried on the clothes that were then given to seamstresses to finish. My father continued to work at the steel-plant. In the afternoon, before my parents came home I had to do the shopping for the day and keep our little room tidy.
Those were for me the happiest three months of my stay in that city. I had made friends with all the children of the neighborhood and played with them every day. But as August came to and end, things changed!
During his spare time, my father had been helping a friend to build some offices in a factory near his place of work. This factory made tombstones and as they did not need all the offices then, the owner offered my father two of these for us to live in temporarily or until we could find alternative accommodation. This new abode was directly in front of the main cemetery. My first impression on seeing the high walls of the cemetery and all those tombstones lying around was of terror! Even here, I soon made friends with the nephew of a neighbor and happily played with him amongst the headstones, forgetting that nightmarish atmosphere of the place.
September with its grey and rainy days was soon with us and with it the beginning of the new school year. I wasn’t particularly perturbed about this and was even looking forward to the new school and making new friends. But this wasn’t to be! The second grade was much more difficult than what I had expected and I found myself disorientated. I did not understand what was going on or was ever given an explanation. I was expected to keep up with the rest of the class and do work which I had never done before. I was here from morning to evening and given a lunch of bean soup with cod-liver oil. I now know that this was a diet given to post-war children for stamina and brain function because it contained proteins and minerals. I naturally refused this food and this would be the cause of punishment. I would be left in the dinging room with my bowl of food in front of me until the lunch break was over. The injustices continued on a near daily basis. Often when the bell rang for recreation I would let out a sigh of relief or make some comment. This was not allowed and therefore I was placed behind the blackboard and conveniently left there for the whole recreation time, without food. This classroom was small, dingy and dark and was one of the few places where I felt lost and alone.
I tried to explain to my mother what was going on at the school and she came to speak to the teacher who told her that I was very behind compared to the other children and that I was rowdy in class. Before going to speak to the teacher, my mother asked one of the students playing in the courtyard, where she might find my teacher. My mother spoke Italian with a very strong Sicilian accent and this was the cause of my next downfall.
From that day on I was called “terrona” which was a contemptuous way of calling people from the south.
Every evening my father came to pick me up from school. He was usually late as he had to wait for a tram to get there. I was the only child in the entrance hall with a wizened little nun who sat there all day repairing shoes. In front of her little chair was a shoemaker’s table with little compartments for nails. In one of these compartments were some liquorish sweets. I was very hungry not having eaten anything that day and as she went out of the room for a few moments, I took a sweet and put it in my mouth. My father arrived with a large umbrella took me in his arms and while we were waking under the rain on the way home I told him what I had done. He listened carefully to my story of taking the sweet without permission and then calmly said: “Life is not easy, but you never take what does not belong to you. When you want something you ask and if it is not give to you remember that some people have less than you.” I treasured these words and have stood by them during my lifetime. It was one of the few times that I actually felt close to my father.
I was no longer eating. As soon as I got back from school, as I did not want my parents to see me, I would go into the bedroom to cry. I missed Sicily; I missed my village, my people, my brother and the whole family. My parents finally realized how unhappy I was.
It was at this time that the application that my father had submitted to immigrate to South Africa was accepted. My mother had to go back to Sicily to prepare the documentation for the next adventure. To my relief, I could now go back with her, go back to my reality.
When my mother went back to Milan she took my little brother with her as he was not yet in school and I remained with my grandparents, aunts, uncles cousins and the warmth of my dear ones. My village was, and still is, a place made up of genuine people that love and make you feel important even if you are a child.
There I stayed till the day we departed for South Africa; went to school and received excellent grades but most of all I was “HAPPY”.
To be continued...
Wind, rain, fog, snow….Milan!! Post war Milan that was daily becoming inundated by hundreds of emigrants arriving from the south. People wearing broken and patched shoes and, threadbare clothing. In their bags a piece of cheese a little salami and a loaf of homemade bread which wives or mothers had lovingly baked before their departure.
Every train that arrived under the high canopy of the Central Station pored out: young, old, mothers with babies and whole families. What did these people think they would find here? A job that would give them enough money to feed their families? Hopefully a better future at the cost of innumerable sacrifices.
As soon as my father heard from some relatives that there might be work for him in Milan, being the usual adventurer, set off immediately for this new destination. He was a qualified mason, but there only found work repairing ovens in a steel-plant. It was work and enough money to feed the family. He rented a room from a Sicilian family that had been there for a while and after a few months asked my mother to join him.
I had just finished the first grade at school with excellent grades. I loved school and already knew all my tables could write simple essays and recite innumerable poems. I was a happy and carefree child and having always been very curious, wanted to know everything about anything that crossed my path. Maybe a bit chatty, but like most children of that age, my life evolved around school, play and visiting the extended family. Whenever I could, I would walk down to the beach to look at the sea, the waves and Reggio Calabbria that is on the opposite shore across the Strait of Messina.
Without much ado, I was eradicated form this reality and taken to an unknown metropolis.
It was the beginning of the school holidays, Milan was hot and humid. Near the apartments where we lived was a holiday center run by nuns, for children whose parents worked. These nuns where waiting for a new school building to be completed before the new school year so that all the children living in that area cold have a school and not have travel by tram to the nearest one which was quite a distance away. I couldn’t wait for this and was very excited thinking that I would be able to continue frequenting my new friends, mostly children of families from the south.
My mother had found a good position as a dress stylist in a top atelier as she was fully qualified and held a diploma. She saw many rich lady clients and helped them choose their clothes. She also cut and tried on the clothes that were then given to seamstresses to finish. My father continued to work at the steel-plant. In the afternoon, before my parents came home I had to do the shopping for the day and keep our little room tidy.
Those were for me the happiest three months of my stay in that city. I had made friends with all the children of the neighborhood and played with them every day. But as August came to and end, things changed!
During his spare time, my father had been helping a friend to build some offices in a factory near his place of work. This factory made tombstones and as they did not need all the offices then, the owner offered my father two of these for us to live in temporarily or until we could find alternative accommodation. This new abode was directly in front of the main cemetery. My first impression on seeing the high walls of the cemetery and all those tombstones lying around was of terror! Even here, I soon made friends with the nephew of a neighbor and happily played with him amongst the headstones, forgetting that nightmarish atmosphere of the place.
September with its grey and rainy days was soon with us and with it the beginning of the new school year. I wasn’t particularly perturbed about this and was even looking forward to the new school and making new friends. But this wasn’t to be! The second grade was much more difficult than what I had expected and I found myself disorientated. I did not understand what was going on or was ever given an explanation. I was expected to keep up with the rest of the class and do work which I had never done before. I was here from morning to evening and given a lunch of bean soup with cod-liver oil. I now know that this was a diet given to post-war children for stamina and brain function because it contained proteins and minerals. I naturally refused this food and this would be the cause of punishment. I would be left in the dinging room with my bowl of food in front of me until the lunch break was over. The injustices continued on a near daily basis. Often when the bell rang for recreation I would let out a sigh of relief or make some comment. This was not allowed and therefore I was placed behind the blackboard and conveniently left there for the whole recreation time, without food. This classroom was small, dingy and dark and was one of the few places where I felt lost and alone.
I tried to explain to my mother what was going on at the school and she came to speak to the teacher who told her that I was very behind compared to the other children and that I was rowdy in class. Before going to speak to the teacher, my mother asked one of the students playing in the courtyard, where she might find my teacher. My mother spoke Italian with a very strong Sicilian accent and this was the cause of my next downfall.
From that day on I was called “terrona” which was a contemptuous way of calling people from the south.
Every evening my father came to pick me up from school. He was usually late as he had to wait for a tram to get there. I was the only child in the entrance hall with a wizened little nun who sat there all day repairing shoes. In front of her little chair was a shoemaker’s table with little compartments for nails. In one of these compartments were some liquorish sweets. I was very hungry not having eaten anything that day and as she went out of the room for a few moments, I took a sweet and put it in my mouth. My father arrived with a large umbrella took me in his arms and while we were waking under the rain on the way home I told him what I had done. He listened carefully to my story of taking the sweet without permission and then calmly said: “Life is not easy, but you never take what does not belong to you. When you want something you ask and if it is not give to you remember that some people have less than you.” I treasured these words and have stood by them during my lifetime. It was one of the few times that I actually felt close to my father.
I was no longer eating. As soon as I got back from school, as I did not want my parents to see me, I would go into the bedroom to cry. I missed Sicily; I missed my village, my people, my brother and the whole family. My parents finally realized how unhappy I was.
It was at this time that the application that my father had submitted to immigrate to South Africa was accepted. My mother had to go back to Sicily to prepare the documentation for the next adventure. To my relief, I could now go back with her, go back to my reality.
When my mother went back to Milan she took my little brother with her as he was not yet in school and I remained with my grandparents, aunts, uncles cousins and the warmth of my dear ones. My village was, and still is, a place made up of genuine people that love and make you feel important even if you are a child.
There I stayed till the day we departed for South Africa; went to school and received excellent grades but most of all I was “HAPPY”.
To be continued...
_______________________________________________
Siete dei siciliani emigrati al nord Italia o all'estero? Inviatemi un vostro racconto e lo pubblicherò, già mercoledì prossimo.
________________________________________________
GUARDA le mie MOSTRE
Lavori in PIETRA ANTICA Clicca QUI'
GUARDA le mie MOSTRE
Lavori in PIETRA ANTICA Clicca QUI'
Etichette: ARTE, Lettere dal Mondo
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page