I PRIMI AD EMIGRARE
Cari amici del blog, questa che state per leggere è la rubrica periodica che dedicherò all'emigrante nel mondo. Nel numero di oggi, a scrivere (sia in italiano che in inglese), è Lina Pino. Emigrata in Sud Africa. (anche le foto sono sue).
Finalmente arrivò il giorno in cui mio padre e mio Zio dovevano partire. Avrebbero preso il treno per Messina e poi li’ avrebbero cambiato treno per Brindisi. Si sarebbero imbarcati sulla nave “Gerusalemme”, un vecchio battello residuato di guerra.
Noi bambini eravamo dalla nonna materna dove vivevano anche la Zia e lo Zio con le loro bambine di quattro e due anni. Loro non capivano l’importanza del momento. Il fatto che il loro padre stava per partire per una nazione lontana, della quale non si sapeva molto eccetto che c’era una citta’ d’oro e molte opportunita di lavoro.
La Sicilia del dopo guerra era una regione piuttosto malinconica, la moneta, che aveva avuto un certo valore prima della querra, ora non valeva piu’niente. Mio padre, in un primo momento, era andato a lovorare a Milano, citta che allora era molto distante dalla Sicilia. Io e mia madre lo avremmo raggiunto in seguito. Io non mi sono trovata molto bene li. I miei coetani mi chiamavano “terrona” in modo molto dispregiativo. (ma tornero’ su questo argomento piu’ avanti).
Mi mancava il mio paese dove tutto era familiare, il calore delle persone, il sole, il mare e piu’ di ogni altra cosa la mia famiglia. A differenza delle nostre cugine, mio fratello ed io capivamo l’importanza di quel grande passo che mio padre e mio zio stavano facendo, cosi stavamo li piuttosto tranquilli e remissivi. Mia nonna invece inveiva contro mio padre e mio zio, che stavano per allontanare da lei le figlie e i nipoti. A me non interessava molto cio’ che lei diceva dato che ero abituata a non avere mio padre molto tempo con me. Non capivo che avrei dovuto raggiungerlo in seguito. Lui non c’era quando sono nata e l’ho visto per la prima volta all’eta’ di tre anni, quando torno’ dalla Germania dove era stato prigioniero di querra. Dopo il suo ritorno aveva lavorato sempre, di qua e di la, spesso lontano da casa. L’unico periodo che l’ho frequentato un po’ e’ stato quando eravamo a Milano. Mio fratello era rimasto in Sicilia con i nonni. Metre la nonna continuava a disperarsi, io incominciai ad annoiarmi. Sulla finestra della stanza da pranzo c’era una lesina che la nonna aveva usato per fare dei buchi nei nuovi materassi. Io mi misi a giocare con questa, mentre la zia mi ammoniva dicendomi di metterla giu’altrimenti mi sarei fatta male. Io (essendo sempre stata cocciuta) continuai a giocare con questo arnese, pericoloso per una bimba di sette anni. Speravo che la finissero di fare tanta confusione e che sarebbe arrivato il momento di andare alla stazione. Ad un certo punto la nonna fece un urlo piu’ acuto che mai e io dallo spavento mi bucai il palmo della mano sinistra. Mi trattenni con grande fatica per non piangere ed urlare e, chiusi la mano piu’ stretta che potei. Vidi che stava sanguinando ma non volevo che si accorgessero di cio’ che avevo fatto. Il dolore era lacerante, ma io senza batter ciglio, chiesi alla zia Giuseppa di darmi uno straccio per pulirmi il naso. Appena ebbi questo straccio uscii dalla stanza senza farmi notare. Una volta fuori, misi lo straccio sul buco che avevo fatto nel palmo della mano e lo chiusi in modo che nessuno notasse niente, e non fuoriuscisse sangue dalla mano.
Finlamentie ci avviammo lentamente verso la stazione. I bagagli erano stati portati da “Don Piertro”, il primo e l’unico tassista del paese. Li’ trovammo quasi tutta la popolazione del villagio che era accorsa per salutare i compaesani che coraggiosamente partivano per la grande Africa Nera. Dopo i baci e gli abbracci unfiniti, i due eroi salirono sul treno con i loro numerosi bagagli.
Il treno parti’ con grande fatica, dato che la gente si era persino riversata sui binari. Io, che avevo trattenuto il mio dolore fisico, vedendo tutti piangere, mi lascai andare e feci un grande urlo e incomincia a singhiozzare. Non ne potevo piu’ dal dolore che avevo alla mano. Tutti allora si girarono verso di me e dissero: “Povira picciridda, vaddati comu cianci. Certu gia’ senti a mancanza di so padri”.
Continua...
Finalmente arrivò il giorno in cui mio padre e mio Zio dovevano partire. Avrebbero preso il treno per Messina e poi li’ avrebbero cambiato treno per Brindisi. Si sarebbero imbarcati sulla nave “Gerusalemme”, un vecchio battello residuato di guerra.
Noi bambini eravamo dalla nonna materna dove vivevano anche la Zia e lo Zio con le loro bambine di quattro e due anni. Loro non capivano l’importanza del momento. Il fatto che il loro padre stava per partire per una nazione lontana, della quale non si sapeva molto eccetto che c’era una citta’ d’oro e molte opportunita di lavoro.
La Sicilia del dopo guerra era una regione piuttosto malinconica, la moneta, che aveva avuto un certo valore prima della querra, ora non valeva piu’niente. Mio padre, in un primo momento, era andato a lovorare a Milano, citta che allora era molto distante dalla Sicilia. Io e mia madre lo avremmo raggiunto in seguito. Io non mi sono trovata molto bene li. I miei coetani mi chiamavano “terrona” in modo molto dispregiativo. (ma tornero’ su questo argomento piu’ avanti).
Mi mancava il mio paese dove tutto era familiare, il calore delle persone, il sole, il mare e piu’ di ogni altra cosa la mia famiglia. A differenza delle nostre cugine, mio fratello ed io capivamo l’importanza di quel grande passo che mio padre e mio zio stavano facendo, cosi stavamo li piuttosto tranquilli e remissivi. Mia nonna invece inveiva contro mio padre e mio zio, che stavano per allontanare da lei le figlie e i nipoti. A me non interessava molto cio’ che lei diceva dato che ero abituata a non avere mio padre molto tempo con me. Non capivo che avrei dovuto raggiungerlo in seguito. Lui non c’era quando sono nata e l’ho visto per la prima volta all’eta’ di tre anni, quando torno’ dalla Germania dove era stato prigioniero di querra. Dopo il suo ritorno aveva lavorato sempre, di qua e di la, spesso lontano da casa. L’unico periodo che l’ho frequentato un po’ e’ stato quando eravamo a Milano. Mio fratello era rimasto in Sicilia con i nonni. Metre la nonna continuava a disperarsi, io incominciai ad annoiarmi. Sulla finestra della stanza da pranzo c’era una lesina che la nonna aveva usato per fare dei buchi nei nuovi materassi. Io mi misi a giocare con questa, mentre la zia mi ammoniva dicendomi di metterla giu’altrimenti mi sarei fatta male. Io (essendo sempre stata cocciuta) continuai a giocare con questo arnese, pericoloso per una bimba di sette anni. Speravo che la finissero di fare tanta confusione e che sarebbe arrivato il momento di andare alla stazione. Ad un certo punto la nonna fece un urlo piu’ acuto che mai e io dallo spavento mi bucai il palmo della mano sinistra. Mi trattenni con grande fatica per non piangere ed urlare e, chiusi la mano piu’ stretta che potei. Vidi che stava sanguinando ma non volevo che si accorgessero di cio’ che avevo fatto. Il dolore era lacerante, ma io senza batter ciglio, chiesi alla zia Giuseppa di darmi uno straccio per pulirmi il naso. Appena ebbi questo straccio uscii dalla stanza senza farmi notare. Una volta fuori, misi lo straccio sul buco che avevo fatto nel palmo della mano e lo chiusi in modo che nessuno notasse niente, e non fuoriuscisse sangue dalla mano.
Finlamentie ci avviammo lentamente verso la stazione. I bagagli erano stati portati da “Don Piertro”, il primo e l’unico tassista del paese. Li’ trovammo quasi tutta la popolazione del villagio che era accorsa per salutare i compaesani che coraggiosamente partivano per la grande Africa Nera. Dopo i baci e gli abbracci unfiniti, i due eroi salirono sul treno con i loro numerosi bagagli.
Il treno parti’ con grande fatica, dato che la gente si era persino riversata sui binari. Io, che avevo trattenuto il mio dolore fisico, vedendo tutti piangere, mi lascai andare e feci un grande urlo e incomincia a singhiozzare. Non ne potevo piu’ dal dolore che avevo alla mano. Tutti allora si girarono verso di me e dissero: “Povira picciridda, vaddati comu cianci. Certu gia’ senti a mancanza di so padri”.
Continua...
THE FIRST TO EMIGRATE:
The day finally arrived when papa’ and Zio had to leave. They were catching the afternoon train to Messina and from there to Brindisi where they would sail on the “Gerusalemme” an old war ship turned passenger.
Us children where at Nonna’s house where Zio and Zia also lived with their two little girls, Aged four and two and who were too small to understand the importance of the moment. The fact that their father was leaving for a far off country of which very little was known, didn’t seem important to them. They were going to “Dark Africa”. The only things that we knew were the stories of a City of Gold and the many opportunities of work there.
Post war Sicily was a very grim place, were no jobs were to be had and money which had had some value before the war, had no value now. My father had to go to Milan to work,
one thousand or so kilometers away. I had gone with my parents for a while, but was very unhappy there as I was considered a “terrona” a word used by the northerners who looked down on us who came from the south. (This is another story, which I will come back to at
a later stage). I missed my village, the warmth of the people, the sunshine, the sea and my family.
My younger brother and I understood the importance of the great step my father and uncle were taking and were rather subdued whilst my grandmother ranted and raved.
It wasn’t as if I was particularly concerned, as I was used to my father not being present.
He wasn’t there when I was born and I laid eyes on him for the first time after my third birthday, when he returned from prisoner-of-war camp in Germany. After that he was often away for work and therefore I had spent very little time with him, mostly the few months when I had been in Milan with my parents, while my brother stayed in Sicily, looked after by the rest of the family.
While nonna carried on about my father and uncle taking away her grandchild which she wouldn’t be able to enjoy and see growing up, I became bored!
I started playing with an awl that nonna had left on the window-sill, as she had been making holes in some new mattresses. My Zia told me to put it down as I would hurt myself with this, but I, (being always hardheaded), carried on playing, wishing they would get on with it so that we could go to the station. At a certain point nonna’s lamentations became so high and hysterical that I pierced my hand right in the middle of my left palm.
I held back a scream and closed my palm as tightly as could. It was bleeding and I didn’t want anyone to see what I had done. The pain was excruciating but I didn’t turn a hair. I coolly asked for a rag to blow my nose. My younger aunt, Giuseppa, gave it to me and I slinked out of the room so that nobody noticed what I was going. As soon as I got downstairs I put the rag in my hand and closed my palm tightly.
The whole family eventually made their way to the station with bag and baggage. These were taken by “Don Pietro” our only taxi in the village. Half the village was already there to wave these courageous men goodbye and see them off. Finally they boarded the train with all their luggage and good wishes from everyone.
I had tried to be brave and not cry from my physical pain which was great. I had a hole in my hand that was unbearably sore. On seeing everyone else crying, I let out a roar and sobbed desperately to my heart’s content.
Everyone turned to me and said: “Ho! poor thing, look how she is crying for her father. She is going to miss him terribly”.
To be continued...
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Siete dei siciliani emigrati al nord Italia o all'estero? Inviatemi un vostro racconto e lo pubblicherò, già mercoledì prossimo.
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Lavori in PIETRA ANTICA Clicca QUI'
The day finally arrived when papa’ and Zio had to leave. They were catching the afternoon train to Messina and from there to Brindisi where they would sail on the “Gerusalemme” an old war ship turned passenger.
Us children where at Nonna’s house where Zio and Zia also lived with their two little girls, Aged four and two and who were too small to understand the importance of the moment. The fact that their father was leaving for a far off country of which very little was known, didn’t seem important to them. They were going to “Dark Africa”. The only things that we knew were the stories of a City of Gold and the many opportunities of work there.
Post war Sicily was a very grim place, were no jobs were to be had and money which had had some value before the war, had no value now. My father had to go to Milan to work,
one thousand or so kilometers away. I had gone with my parents for a while, but was very unhappy there as I was considered a “terrona” a word used by the northerners who looked down on us who came from the south. (This is another story, which I will come back to at
a later stage). I missed my village, the warmth of the people, the sunshine, the sea and my family.
My younger brother and I understood the importance of the great step my father and uncle were taking and were rather subdued whilst my grandmother ranted and raved.
It wasn’t as if I was particularly concerned, as I was used to my father not being present.
He wasn’t there when I was born and I laid eyes on him for the first time after my third birthday, when he returned from prisoner-of-war camp in Germany. After that he was often away for work and therefore I had spent very little time with him, mostly the few months when I had been in Milan with my parents, while my brother stayed in Sicily, looked after by the rest of the family.
While nonna carried on about my father and uncle taking away her grandchild which she wouldn’t be able to enjoy and see growing up, I became bored!
I started playing with an awl that nonna had left on the window-sill, as she had been making holes in some new mattresses. My Zia told me to put it down as I would hurt myself with this, but I, (being always hardheaded), carried on playing, wishing they would get on with it so that we could go to the station. At a certain point nonna’s lamentations became so high and hysterical that I pierced my hand right in the middle of my left palm.
I held back a scream and closed my palm as tightly as could. It was bleeding and I didn’t want anyone to see what I had done. The pain was excruciating but I didn’t turn a hair. I coolly asked for a rag to blow my nose. My younger aunt, Giuseppa, gave it to me and I slinked out of the room so that nobody noticed what I was going. As soon as I got downstairs I put the rag in my hand and closed my palm tightly.
The whole family eventually made their way to the station with bag and baggage. These were taken by “Don Pietro” our only taxi in the village. Half the village was already there to wave these courageous men goodbye and see them off. Finally they boarded the train with all their luggage and good wishes from everyone.
I had tried to be brave and not cry from my physical pain which was great. I had a hole in my hand that was unbearably sore. On seeing everyone else crying, I let out a roar and sobbed desperately to my heart’s content.
Everyone turned to me and said: “Ho! poor thing, look how she is crying for her father. She is going to miss him terribly”.
To be continued...
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Siete dei siciliani emigrati al nord Italia o all'estero? Inviatemi un vostro racconto e lo pubblicherò, già mercoledì prossimo.
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Etichette: ARTE, Lettere dal Mondo
1 Commenti:
Quanto qui appresso potrebbe sembrare fuori tema ... a prima vista.
Invece, mi chiedo e domando, ma i nostri comuni come sono combinati ?
Finiremo emigranti ?
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1597266&codiciTestate=1
Di Adduso, Alle 19 marzo 2009 alle ore 17:37
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